sabato 31 agosto 2013
Arvo Paart
Pärt, o Paart Arvo (Paide, 11 settembre 1935), è un compositore estone di musica contemporanea legato al minimalismo.Dopo gli esordi, in cui il suo linguaggio utilizzava tecniche come la dodecafonia ed il collage, fu coniato proprio per la sua musica il termine di minimalismo sacro, di cui è un riconosciuto esponente assieme ad autori come Henryk Górecki e John Tavener. È un compositore apprezzato soprattutto per la semplicità dell'ascolto e la trasparenza emotiva delle sue opere.
http://it.wikipedia.org/wiki/Arvo_P%C3%A4rt
Ascolti: Spiegel im Spiegel De pacem domine Cantus in memory of Benjamin Britten
lunedì 19 agosto 2013
Luigi Dallapiccola
Treccani, l'enciclopedia italiana
Dallapìccola, Luigi
Enciclopedie on line
Dallapìccola,
Luigi. - Musicista italiano (Pisino, Istria, 1904 - Firenze 1975). Fu
tra i primi in Italia ad accostarsi alla dodecafonia, che assimilò in
maniera personale per la prima volta nel Divertimento in quattro
esercizi (1934) e poi esplorando vari generi, dai canti per coro e
orchestra all'opera, dalla musica strumentale al balletto, dalla sacra
rappresentazione alla sua ultima composizione, Commiato (1972). Artista
di grande impegno civile, le sue opere sono spesso connotate dal
sentimento ossessivo della presenza del male, ma anche dalla possibilità
della ribellione e del riscatto
Leggi tutto
http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Dallapiccola
Ascolti: quaderno musicale di Annalibera Piccola musica notturna Tartiniana
mercoledì 14 agosto 2013
Compositori contemporanei: Aldo Clementi
Aldo Clementi (Catania, 25 maggio 1925 – Roma, 3 marzo 2011) è stato un compositore italiano. Dopo un primo periodo, corrispondente agli anni di studio, in cui il suo spirito era già vicino a quello della Seconda scuola di Vienna, Clementi si avvicina allo strutturalismo nella seconda metà degli anni cinquanta, nel momento in cui frequenterà i famosi corsi a Darmstadt. La sua vicinanza ad ambienti artistico-pittorici quali il gruppo Forma 1, ad artisti quali Piero Dorazio, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo ed altri, è emblematica del suo interesse verso le arti visive, il quale sarà di estrema importanza negli anni a venire. Quasi a voler creare un corrispettivo dell'arte informale, negli anni sessanta Clementi produce opere quali gli Informel, le due Varianti ed i Reticoli, brani dove il denso contrappunto cromatico (nella Variante A utilizza addirittura 144 parti reali) viene a costituire una sorta di continuum multistrato, in cui ogni singola voce viene annullata, affogata in una grande macchia sonora la cui texture è in continuo movimento; per questi motivi il linguaggio musicale di Clementi è spesso stato messo in rapporto con i dripping di Jackson Pollock, o i mobiles di Alexander Calder.Successivamente, già dagli anni settanta Clementi evolverà il suo linguaggio utilizzando materiali sempre più diatonici, spesso provenienti da opere del passato (si veda anche l'uso frequente del tema BACH, o di melodie di corali), e sempre maggiore attenzione sarà posta nei riguardi delle verticalità armoniche.Tipico della produzione matura è l'uso costante del rallentando applicato alle ripetizioni cicliche di uno stesso materiale, quasi a voler fare una sorta di "ingrandimento" progressivo degli artifici contrappuntistici, palesandone in modo più esplicito il loro intrinseco funzionamento.
http://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Clementi
intervista a Aldo Clementi
Ascolti: Cantabile otto variazioni per chitarra Vertigo
Lamento in memoriam di Franco Pennisi
lunedì 8 aprile 2013
Remo Bodei: La vita delle cose
Bodei segue la distinzione tra oggetti e cose: L'oggetto è l'ostacolo che ci si pone davanti, la cosa (da causa) è l'essenza; è l'oggetto investito di un valore soggettivo (soggettivazione dell'oggetto). Il valore soggettivo è dato dagli affetti e dai simboli che individui, società e storia proiettano sull'oggetto trasformandolo in cosa e distinguendolo dalle merci. Gli oggetti investiti si caricano di significati che si mescolano a quelli delle persone che li hanno utilizzati e amati. Oggetti e persone così vengono a formare una sorta di unità che si lascia smembrare a fatica. In questo modo gli oggetti ci parlano, quelli rinvenuti dopo tempo manifestano sia le tracce dei processi naturali e sociali che li hanno prodotti sia le idee, i pregiudizi, le inclinazioni e i gusti di un'intera società. Per completare la visuale dell'oggetto che non ci è mai data completa, ricorriamo sempre alla memoria e all'immaginazione. Le cose innescano in chi le usa o le contempla un susseguirsi di rimandi, che sgorgano da loro come da un'inestinguabile sorgente di donazione di senso. Rimandi non lineari ma protusioni e ritenzioni, oscillazioni, mutamenti che come variazioni su un tema non annullano il tema stesso ma lo arricchiscono di senso e con esso si arrichisce anche chi li crea. Nei tempi odierni si va perdendo la trasformazione da oggetto a cosa in quanto viene a mancare la caratteristica di durevolezza: l'oggetto viene rapidamente sostituito da un'altro nuovo. Anche il fatto che le materie sono in gran parte artificiali va a spezzare quel legame tra natura e oggetto. Il consumismo per far vivere se stesso deve distruggere ciò che è durevole. Così l'oggetto, a causa della voracità del consumo, non partecipa più alla costruzione dell'individualità, estinguendosi l'impulso di educarsi al meglio e vivendo nell'assenza di riflessione.
Il consumismo non è l'esaltazione dell'oggetto ma la sua uccisione. L'arte è il veicolo privilegiato per trasformare gli oggetti in cose e si colloca in quella zona insituabile in cui il desiderio cognitivo e affettivo trova il suo più intenso appagamento, in quello spazio simbolico in cui non siamo mai stati ma che ci sembra di conoscere da sempre, quasi fosse un intero paese straniero, perduto e a volte riconquistato. Da ogni cosa, cosiderata con simpatetica attenzione, possono allora diramarsi differenti percorsi di curiosità ( = da cura, volontà di sapere) e ricerca.
martedì 26 marzo 2013
Secondo movimento della settima sinfonia di Beethoven
Ludwig van Beethoven
[1770-1827]
Sinfonia n. 7 in La maggiore
op. 92
Anno di composizione: 1811
Poco sostenuto - Vivace
Allegretto
Presto
Allegro con brio
La prima esecuzione della Settima Sinfonia in La maggiore di Beethoven, avvenuta a Vienna l’8 dicembre 1813 in un concerto a favore dei soldati feriti nella battaglia di Danau nell’ottobre precedente, fu un trionfo, al punto che il celeberrimo Allegretto dovette essere ripetuto. Composta ben sei anni dopo la Pastorale, la Settima sintetizza felicemente un periodo nel quale il compositore torna a valorizzare elementi squisitamente costruttivi quali la polifonia e l’elaborazione tematica, attenuando progressivamente le domande “contenutistiche” e i violenti contrasti dialettici di alcuni lavori precedenti. Giovanni Carli Ballola ha efficacemente definito la Settima come «il coronamento di questa gioiosa “libertà” creativa, acquistata attraverso il superamento della fase cruciale dell’individualismo eroico e dell’urgenza contenutistica».
In questo post si propone l'ascolto del secondo movimento, il misterioso e celeberrimo Allegretto, basato sull’elementare disegno ritmico dattilo-spondeo, immerso in un clima onirico. Il movimento è aperto e chiuso da un accordo dolente in la minore. Il primo tema, basato su una melodia dal ritmo marcato, quasi in passo di marcia, è ripetuto più volte progressivamente arricchito nel contrappunto. Il secondo tema, in maggiore, ha andamento cantabile.
(testo tratto dal libretto di sala dell’Orchestra del Teatro di San Carlo e da Wikipedia).
[1770-1827]
Sinfonia n. 7 in La maggiore
op. 92
Anno di composizione: 1811
Poco sostenuto - Vivace
Allegretto
Presto
Allegro con brio
La prima esecuzione della Settima Sinfonia in La maggiore di Beethoven, avvenuta a Vienna l’8 dicembre 1813 in un concerto a favore dei soldati feriti nella battaglia di Danau nell’ottobre precedente, fu un trionfo, al punto che il celeberrimo Allegretto dovette essere ripetuto. Composta ben sei anni dopo la Pastorale, la Settima sintetizza felicemente un periodo nel quale il compositore torna a valorizzare elementi squisitamente costruttivi quali la polifonia e l’elaborazione tematica, attenuando progressivamente le domande “contenutistiche” e i violenti contrasti dialettici di alcuni lavori precedenti. Giovanni Carli Ballola ha efficacemente definito la Settima come «il coronamento di questa gioiosa “libertà” creativa, acquistata attraverso il superamento della fase cruciale dell’individualismo eroico e dell’urgenza contenutistica».
In questo post si propone l'ascolto del secondo movimento, il misterioso e celeberrimo Allegretto, basato sull’elementare disegno ritmico dattilo-spondeo, immerso in un clima onirico. Il movimento è aperto e chiuso da un accordo dolente in la minore. Il primo tema, basato su una melodia dal ritmo marcato, quasi in passo di marcia, è ripetuto più volte progressivamente arricchito nel contrappunto. Il secondo tema, in maggiore, ha andamento cantabile.
(testo tratto dal libretto di sala dell’Orchestra del Teatro di San Carlo e da Wikipedia).
lunedì 25 marzo 2013
Carlos Drummond de Andrade tradotto da Tabucchi
Ad un anno dalla scomparsa del grande scrittore Tabucchi, pubblico una sua traduzione del poeta brasiliano Carlos Drummond de Andrade. Di tutto è rimasto un poco è anche il titolo del nuovo libro dedicato a Tabucchi da Feltrinelli con una raccolta di suoi scritti inediti sulla letteratura e sul cinema.
anteprima del libro
Residuo
(Carlos Drummond de Andrade)
Di tutto è rimasto un poco,
Della mia paura. Del tuo ribrezzo.
Dei gridi blesi. Della rosa
è rimasto un poco.
È rimasto un poco di luce
captata nel cappello.
Negli occhi del ruffiano
è restata un po' di tenerezza
(molto poco)
Poco è rimasto di questa polvere
che ti coprì le scarpe
bianche. Pochi panni sono rimasti,
pochi veli rotti,
poco, poco, molto poco.
Ma d'ogni cosa resta un poco.
Del ponte bombardato,
delle due foglie d'erba,
del pacchetto
- vuoto - di sigarette, è rimasto un poco
Che di ogni cosa resta un poco.
È rimasto un po' del tuo mento
nel mento di tua figlia.
Del tuo ruvido silenzio
un poco è rimasto, un poco
sui muri infastiditi,
nelle foglie, mute, che salgono.
È rimasto un po' di tutto
nel piattino di porcellana,
drago rotto, fiore bianco,
di rughe sulla tua fronte,
ritratto.
Se di tutto resta un poco,
perché mai non dovrebbe restare
un po' di me? Nel treno
che porta a nord, nella nave,
negli annunci di giornale,
un po' di me a Londra,
un po' di me in qualche dove?
nella consonante?
nel pozzo?
Un poco resta oscillando
alla foce dei fiumi
e i pesci non lo evitano,
un poco: non viene nei libri.
Di tutto rimane un poco.
Non molto: da un rubinetto
stilla questa goccia assurda,
metà sale e metà alcool,
salta questa zampa di rana,
questo vetro di orologio
rotto in mille speranze,
questo collo di cigno,
questo segreto infantile...
Di ogni cosa è rimasto un poco:
di me; di te; di Abelardo.
Un capello sulla mia manica,
di tutto è rimasto un poco;
vento nelle mie orecchie,
rutto volgare, gemito
di viscere ribelli,
e minuscoli artefatti:
campanula, alveolo, capsula
di revolver... di aspirina.
Di tutto è rimasto un poco.
E di tutto resta un poco.
Oh, apri i flacone di profumo
e soffoca
l'insopportabile lezzo della memoria.
Ma di tutto, terribile, resta un poco,
e sotto le onde ritmate,
e sotto le nuvole e i venti
e sotto i ponti e sotto i tunnel
e sotto le fiamme e sotto il sarcasmo
e sotto il muco e sotto il vomito
e sotto il singhiozzo, il carcere, il dimenticato
e sotto gli spettacoli e sotto la morte in scarlatto
e sotto le biblioteche, gli ospizi, le chiese trionfanti
e sotto te stesso e sotto i tuoi piedi già rigidi
e sotto i cardini della famiglia e della classe,
rimane sempre un poco di tutto.
A volte un bottone. A volte un topo.
(traduzione di Antonio Tabucchi)
anteprima del libro
Residuo
(Carlos Drummond de Andrade)
Di tutto è rimasto un poco,
Della mia paura. Del tuo ribrezzo.
Dei gridi blesi. Della rosa
è rimasto un poco.
È rimasto un poco di luce
captata nel cappello.
Negli occhi del ruffiano
è restata un po' di tenerezza
(molto poco)
Poco è rimasto di questa polvere
che ti coprì le scarpe
bianche. Pochi panni sono rimasti,
pochi veli rotti,
poco, poco, molto poco.
Ma d'ogni cosa resta un poco.
Del ponte bombardato,
delle due foglie d'erba,
del pacchetto
- vuoto - di sigarette, è rimasto un poco
Che di ogni cosa resta un poco.
È rimasto un po' del tuo mento
nel mento di tua figlia.
Del tuo ruvido silenzio
un poco è rimasto, un poco
sui muri infastiditi,
nelle foglie, mute, che salgono.
È rimasto un po' di tutto
nel piattino di porcellana,
drago rotto, fiore bianco,
di rughe sulla tua fronte,
ritratto.
Se di tutto resta un poco,
perché mai non dovrebbe restare
un po' di me? Nel treno
che porta a nord, nella nave,
negli annunci di giornale,
un po' di me a Londra,
un po' di me in qualche dove?
nella consonante?
nel pozzo?
Un poco resta oscillando
alla foce dei fiumi
e i pesci non lo evitano,
un poco: non viene nei libri.
Di tutto rimane un poco.
Non molto: da un rubinetto
stilla questa goccia assurda,
metà sale e metà alcool,
salta questa zampa di rana,
questo vetro di orologio
rotto in mille speranze,
questo collo di cigno,
questo segreto infantile...
Di ogni cosa è rimasto un poco:
di me; di te; di Abelardo.
Un capello sulla mia manica,
di tutto è rimasto un poco;
vento nelle mie orecchie,
rutto volgare, gemito
di viscere ribelli,
e minuscoli artefatti:
campanula, alveolo, capsula
di revolver... di aspirina.
Di tutto è rimasto un poco.
E di tutto resta un poco.
Oh, apri i flacone di profumo
e soffoca
l'insopportabile lezzo della memoria.
Ma di tutto, terribile, resta un poco,
e sotto le onde ritmate,
e sotto le nuvole e i venti
e sotto i ponti e sotto i tunnel
e sotto le fiamme e sotto il sarcasmo
e sotto il muco e sotto il vomito
e sotto il singhiozzo, il carcere, il dimenticato
e sotto gli spettacoli e sotto la morte in scarlatto
e sotto le biblioteche, gli ospizi, le chiese trionfanti
e sotto te stesso e sotto i tuoi piedi già rigidi
e sotto i cardini della famiglia e della classe,
rimane sempre un poco di tutto.
A volte un bottone. A volte un topo.
(traduzione di Antonio Tabucchi)
domenica 10 marzo 2013
Domenico Scarlatti
Vita
Nacque
a Napoli nell’abitazione di Via Toledo, il 26 Ottobre del 1685. Figlio del
famoso compositore Alessandro e di Anna Maria Ansalone. Fu il sestogenito di
dieci figli, visse da subito immerso nel clima musicale, infatti oltre al
padre erano musicisti gli zii paterni, e i fratelli. Nel 1701, a soli sedici anni,
divenne organista della Cappella Reale di Napoli e nel 1702 si trasferì a
Firenze con il padre, per un breve periodo alla corte di Ferdinando III de’
Medici. Studiò con il padre e si perfezionò a Roma in clavicembalo con B.
Pasquini e F.Gasparini e quando quest’ultimo si trasferì a Venezia per il posto
di maestro della Pietà, lo seguì per continuare gli studi di perfezionamento. A
Venezia ebbe contatti anche con Vivaldi ed Haendel. Nel 1705 risiederà a Roma, sempre
con il padre che divenne vice maestro di cappella della basilica di S. Maria
Maggiore, mentre il giovane Domenico divenne maestro di cappella della Regina
Maria Cosimira di Polonia, a quel tempo in esilio a Roma. Il suo compito presso
la regina era anche di comporre opere per il teatro di corte (Palazzetto
Zuccari, presso Via Sistina). E’ documentata la gara che, a Roma, il Cardinale
Ottoboni organizzò tra Scarlatti ed Haendel e dalla quale uscì vincitore il
primo al clavicembalo e il secondo all’organo. Nel 1713 divenne vice maestro alla Cappella Giulia, incarico
che manterrà fino a quando nel 1719 si reca a Lisbona alla corte del Re di
Portogallo Guglielmo V. Nel 1724 rientrò in Italia e nel 1725 avvenne la morte
del padre Alessandro. Nel 1728 sposò Maria Caterina Gentili una bellissima
sedicenne romana da cui avrà cinque figli, la quale morì nel 1738. Nel 1729
seguì l’Infanta Maria Barbara di Braganza, di cui era maestro, nel suo
trasferimento a Siviglia per via del matrimonio con Ferdinando Principe delle
Asturie, per poi seguire la corte nei vari spostamenti fino a giungere
definitivamente a Madrid. A Madrid ebbe molti allievi tra i quali il musicista
padre Antonio Soler. Nel 1746 quando il principe Ferdinando divenne re egli fu
nominato “Maestro de los Reyes”. Scarlatti non amava partecipare alla mondanità
della vita di corte, ma nel tempo libero preferiva una vita ritirata, scegliendo
il contatto con la vita popolare della città contatto che gli permirse di
nutrirsi di quella cultura musicale locale che confluirà sapientemente nelle sue sonate: l’imitazione dei rasgueado
della chitarra, il ritmo delle castagnette ecc..gli echi dell’oriente che erano
giunti precedentemente in spagna.
Alla
corte di Ferdinando VI era in servizio anche il famoso cantante Farinelli, del
quale divenne molto amico. A Madrid, rimasto vedovo si risposa tra il 1740 e il
1741 con Anastasia Maxarti Ximenes. Muore a Madrid il 23 Luglio 1757 nella sua
casa in Calle Leganitas, attualmente segnalata con targa storica. A Madrid
ancora vivono i suoi discendenti.
Domenico Scarlatti e il Clavicembalo
Domenico
Scarlatti fu uno dei più grandi clavicembalisti di tutti i tempi e il suo genio
di compositore si espresse soprattutto attraverso questo strumento. Scrisse 555
Sonate. Le sue sonate, prevalentemente in un solo Tempo, sono generalmente con
struttura monotematica e bipartita, ma al di là di questa classificazione
generica le sonate di Scarlatti godono di uno stile unico ed originale:
“la misura
diventa quella dell’attimo abbagliante, della visione fulminea che esaurisce
ogni cosa visibile………….E’ tutto pieno di lontani bagliori ma quando li riporta
non è per via del ricordo, è perché nel suo spirito non esistono limiti fra
l’attuabile e l’ attuato, fra il passato e il presente, fra il volere e
l’avere. ….Quello stare tutto in un
solo Tempo è sufficiente per tradurre in musica quelle visioni sprofondate
nella sua fantasia, punte acutissime dolorosamente inferte nell’anima”. (G.Confalonieri,
Storia della Musica, 1975).
…La perfezione della costruzione di
quelle unità (una o più battute) che si susseguono come immagini indipendenti
ma concatenate e che ci rimandano facilmente all’idea di narrazione per icone
già in auge del mondo classico greco-romano. La sonata scarlattiana ha molto in
comune con questa pratica: trattare ogni micro-sezione come un mondo a sé e ad
un tempo preludere ad una sezione che partecipa di quella precedente, spingendo
in avanti il flusso narrativo.”Ogni cosa è una mezza memoria di
ciò che è accaduto”.(Carlo Grante,
Scarlatti e la sospensione del tempo).
Si
riscontra nelle sue pagine sempre una componente teatrale, i temi sono intesi e
trattati come personaggi e a volte le brevi introduzioni sono un magico sipario
che si apre sulla scena sonora. Prima di lui le sonate, si rifacevano ai vari
tipi di danza, egli si sgancia da questa gabbia, va oltre e cerca un’
espressività liberata da ritmiche standardizzate. Il ritmo sgorga con
freschezza e naturalezza in ogni
elemento melodico in un gioco di grande fantasia dove gli elementi interiorizzati
della musica conosciuta nel suo soggiorno in Portogallo e in Spagna, si
propongono in maniera dirompente e pieni di freschezza. Nei brani lenti la
cantabilità è imitazione della voce umana e l’accompagnamento si fa sobrio come
ad evocare la sua infanzia circondata da arie e cantanti con le quali il padre
Alessandro sovente provava i suoi melodrammi nella loro casa e forse per questo
il senso melodico sgorga in lui così fluido
e naturale senza ricorso a nessun artifico.
L’
imitazione del carattere della musica popolare spagnola è evidente nell’uso di
note estranee contenute negli accordi (probabile imitazione degli accordi di
chitarra ascoltati nelle vie madrilene che il compositore amava frequentare) la
valenza ritmico- percussiva si rifà al ritmo delle castagnette che richiama ai
passi di danza iberici e alle ritmiche popolari suonate sulla chitarra. Non è
mai, tuttavia, semplice imitazione ma sono spunti che Scarlatti fa propri e poi
rielabora in un linguaggio unico e originalissimo mescolandolo al sapore tutto
italiano della melodicità, un linguaggio che
esplora con grande virtuosismo tutte
le possibilità del clavicembalo, del clavicordo
o del forte-piano e che influenzerà la musica strumentale futura.
mercoledì 27 febbraio 2013
Claudio Monteverdi
Vita
Nacque
a Cremona il 15 maggio 1567, figlio di Baldassarre, medico e di Maddalena
Zignani. Iniziò ben presto lo studio della musica sotto la guida di
Marc’Antonio Ingegneri, maestro di cappella del duomo di Cremona, il quale gli
impartì lezioni di viola e contrappunto. La sua prima pubblicazione risale
all’età di quindici anni: Sacrae
Cantiunculae a 3 voci (1582). Nel
1589 venne assunto come violista alla corte di Mantova dei Gonzaga, dal duca
Vincenzo che successe al padre nella titolarità dei due ducati e che fece di
Mantova uno dei maggiori centri d’arte in Italia: Rubens per la pittura, Tasso
per la letteratura, Monteverdi per la musica sono i fiori all’occhiello di
questo mecenate che sposatosi nel 1584 con Leonora De’ Medici stabilì fecondi
rapporti con Firenze per l’arte e per la creazione di quel melodramma che si
concretizzò grazie alla genialità di Monteverdi.
Molti
viaggi compì in questi anni Monteverdi, accompagnando il duca in Ungheria,
nelle Fiandre (viaggio particolarmente importante per la conoscenza della
musica francese) a Roma e a Milano.
Nel
1599 si sposò con Claudia Cattaneo, cantante di corte, dalla quale ebbe due
figli: Francesco che fu musicista e Massimiliano.
Nel
1601 venne nominato maestro della musica
a corte, i suoi compiti comprendevano l’ insegnamento, la direzione di un
gruppo vocale femminile e la
composizione di opere per il teatro e per il carnevale. Il 24 febbraio del 1607
nel palazzo Ducale di Mantova ci fu il debutto de L’Orfeo, primo capolavoro della storia dell’opera. In quello stesso
anno morì la moglie e Claudio si ritrovò da solo con i due figli piccoli e in
difficili condizioni. Nel 1612 alla morte di Vincenzo Gonzaga, subentrò il figlio
Francesco che licenziò Claudio Monteverdi e suo fratello Giulio Cesare
anch’egli musicista ed in servizio dai Gonzaga dal 1604.
Dopo
un periodo di ristrettezze e di sconforto Claudio Monteverdi fu assunto nel
1613 come maestro di cappella nella basilica di S. Marco a Venezia, posto che
manterrà fino alla morte. Nel 1632 prese i voti sacerdotali. Nel 1643 venne
rappresentata la sua ultima opera, il dramma musicale ”L’Incoronazione di Poppea”.
Morì il 29 Novembre 1643 a
Venezia e venne sepolto nella Chiesa dei Frari.
Monteverdi e la “Seconda pratica
In
quell’ambiente colto e raffinato della corte di Mantova, dove l’amicizia tra
letterati e musicisti favoriva scambi culturali assai prolifici, Claudio
Monteverdi portò a compimento la sua formazione artistica ed elaborò quelle
idee che grazie al suo genio lo porteranno sulle vie della più ardita riforma
musicale, via che segnerà il passaggio dalla musica rinascimentale a quella
barocca. Saranno proprio le sue tendenze progressiste ad attirare a se aspre
critica dalla parte dei teorici conservatori. Il maggiore critico fu L’Artusi,
il più polemico nei riguardi della musica monteverdiana. Per chiarire la sua
posizione Monteverdi definì la sua musica “Seconda pratica” opponendola alla
prima ed implicando che i modelli della vecchia scuola non era applicabili alla
sua nuova concezione musicale ossia che il suo progetto era quello di esaltare
l’espressività della parola, assecondandone il ritmo e la musicalità che già
essa possiede in sé.
Egli
mirava a creare un linguaggio musicale che realizzasse, mediante il perfetto
connubio di parole e musica e con l’ausilio dell’armonia, la verità
dell’espressione. Tesi che fu ribadita e chiaramente espressa in una prefazione
scritta dal fratello Giulio Cesare, nella pubblicazione degli scherzi musicali del 1607. Monteverdi
per il suo melodramma, si ispira a ciò che sta avvenendo a Firenze, con Peri e
Rinucci e con L’ Orfeo, rappresentato
nel 1607, raggiunge il suo scopo creando quel capolavoro che verrà accolto
trionfalmente in varie città italiane. A tale opera seguì L’Arianna, purtroppo
andata persa (rimane soltanto Il Lamento
di Arianna che fu ripubblicato separatamente nel 1623). A Venezia egli si
rivelò fecondo compositore di musica sacra ma tuttavia senza tralasciare le
composizioni per il teatro e la composizione di madrigali.
Nel
corso della sua vita scrisse 8 libri di madrigali (un nono fu pubblicato
postumo). Molte opere drammatiche andarono perse e quelle complete che ci
restano sono: L’Orfeo (1607), Il Ritorno
in patria di Ulisse (1640) e L’Incoronazione
di Poppea (1643).
Aria per voce e continuo, SV 332 : Si dolce è 'l tormento
Si dolce è'l tormento
Ch'in seno mi sta,
Ch'io vivo contento
Per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S'accreschi fierezza
Et manchi pietà:
Che sempre qual scoglio
All'onda d'orgoglio
Mia fede sarà.
La speme fallace
Rivolgam' il piè.
Diletto ne pace
Non scendano a me.
E l'empia ch'adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercè:
Tra doglia infinita,
Tra speme tradita
Vivrà la mia fè.
Per foco e per gelo
Riposo non hò.
Nel porto del Cielo
Riposo haverò.
Se colpo mortale
Con rigido strale
Il cor m'impiagò,
Cangiando mia sorte
Col dardo di morte
Il cor sanerò.
Se fiamma d'amore
Già mai non sentì
Quel riggido core
Ch'il cor mi rapì,
Se nega pietate
La cruda beltate
Che l'alma invaghì:
Ben fia che dolente,
Pentita e languente
Sospirimi un dì.
Ch'in seno mi sta,
Ch'io vivo contento
Per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S'accreschi fierezza
Et manchi pietà:
Che sempre qual scoglio
All'onda d'orgoglio
Mia fede sarà.
La speme fallace
Rivolgam' il piè.
Diletto ne pace
Non scendano a me.
E l'empia ch'adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercè:
Tra doglia infinita,
Tra speme tradita
Vivrà la mia fè.
Per foco e per gelo
Riposo non hò.
Nel porto del Cielo
Riposo haverò.
Se colpo mortale
Con rigido strale
Il cor m'impiagò,
Cangiando mia sorte
Col dardo di morte
Il cor sanerò.
Se fiamma d'amore
Già mai non sentì
Quel riggido core
Ch'il cor mi rapì,
Se nega pietate
La cruda beltate
Che l'alma invaghì:
Ben fia che dolente,
Pentita e languente
Sospirimi un dì.
martedì 19 febbraio 2013
Giovanni Pierluigi da Palestrina
Vita di Giovanni Pierluigi
Nacque nel 1525 a Palestrina, da Sante
di Pierluigi. Nel 1537 si trasferì a Roma dove entrò come putto cantore nella
Basilica di S.Maria Maggiore e dove compì la sua formazione musicale sotto la
guida di R. Mallapart.
Nel 1544 torna a Palestrina dove diventa organista e Maestro presso la
Cattedrale di S. Agapito e dove sposa la sua conterranea Lucrezia Gori dalla
quale avrà tre figli: Rodolfo, Angelo e Igino. Quando il Vescovo di Palestrina
Giovanni Maria del Monte, estimatore di Pierluigi, diviene papa sotto il nome
di Giulio III, lo chiama a se come maestro presso la Cappella Giulia, incarico
che inizierà nel Settembre 1551 fino al 1555 anno in cui fu chiamato come
cantore alla Cappella Pontificia. Pochi mesi dopo la nomina a cantore avviene
la morte di Giulio III e il papa Paolo IV rifacendosi al regolamento che vieta
ai cantori di essere ammogliati espelle dalla cappella Pierluigi, insieme ad
altri due cantori ammogliati, assegnando loro un vitalizio di sei scudi mensili
a titolo di ricompensa.
Nel 1555 fu chiamato in
S.Giovanni in Laterano come Maestro di Cappella, posto che mantenne fino al
1561.
Sono di questo periodo le
Lamentazioni a 4 voci ed un volume di Magnificat a 5 e 6 voci, gli Improprii e
l’inno Crux Fidelis a 8 voci che fu cantato per la prima volta il Venerdi Santo
del 1560. Nel Marzo 1561 passa al servizio della Basilica Liberiana (S.Maria
Maggiore), nel 1565 al Seminario Romano e contemporaneamente nel 1567 presta servizio presso il
Cardinale Ippolito d’Este come Maestro di Concerti.
Nel 1571 alla morte di
Giovanni Animuccia riprenderà il posto di Direttore Musicale della Cappella
Giulia, dal 1572 egli vivrà una serie di lutti: nel 1572 il figlio Rodolfo di
23 anni, nel 1573 il fratello Silla, suo allievo di composizione insieme ai
suoi figli, nel 1575 il figlio Angelo di 24 anni, e nel 1580 la moglie
Lucrezia. Il susseguirsi di tali tristi eventi fanno cadere Giovanni Pierluigi
in un periodo di sconforto e di crisi, infatti deciderà di prendere la tonsura (rito
che precede il conferimento degli ordini sacri) ma pochi mesi dopo la
decisione, nel 1581, si sposa con Virginia Dormoli, una ricca vedova romana.
Questo fu un periodo di agiatezza economica che consentì al compositore di
dedicarsi alla pubblicazione di molti
dei suoi lavori. Morì nel 1594 e fu sepolto con grandi onori nella Basilica di
S. Pietro.
Contesto storico musicale
Il Principe della musica,
così chiamato Giovanni Pierluigi, per la sua raffinatezza musicale e per la purezza della scrittura, fu il
massimo esponente della musica polifonica del Cinquecento e il massimo
rappresentante della Scuola Romana nata per attuare le linee caratterizzanti
della musica controriformista definite nel Concilio di Trento (1545-1563)
convocato da Paolo III. Col suo modo di
comporre, Pierluigi, creò uno stile che rimase come modello per lungo tempo:
“Stile alla Palestrina”. Le direttive in campo musicale del suddetto Concilio
di Trento furono: divieto di accompagnamento strumentale per la maggior parte
della musica sacra (predilezione per la musica a cappella), proibizione di usare
cantus firmi profani, si dovevano usare esclusivamente a tale scopo canti
gregoriani, Lo stile doveva rimanere rigorosamente polifonico ma limitando i
fugati e semplificando il contrappunto a favore della chiarezza testuale, attuare la purificazione
da quegli elementi provenienti dalla musica profana come le diminuzioni
e gli abbellimenti finalizzati al solo compiacimento dei sensi.
Il mottetto Sicut Cervus è
considerato uno degli esempi più significativi di arte corale religiosa del
Rinascimento. Il testo latino è tratto dal salmo 42: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio”. Per mottetto Rinascimentale si intende una composizione polifonica
vocale su testo sacro, deriva dal francese “mots” che significa parola. La
caratteristica di tale composizione è il susseguirsi di entrate in imitazione delle voci finchè si termina con una cadenza, dopodiché inizia un’altra frase e
compie lo stesso iter. Per avere punti di riferimento all’ascolto è bene
concentrarsi in modo particolare sulle entrate delle frasi prestando massima
attenzione alle imitazioni, alla loro lunghezza, e sulle cadenze. Nel sicut
cervus troviamo tre frasi in imitazione, le altre imitazioni sono solo parziali
(spunti imitativi) il tutto termina con una cadenza plagale (IV-I). Le voci come di consueto nei cori a quattro voci a cappella sono: Soprano, Contralto, Tenore,
Basso. ( i riferimenti
temporali sono riferiti all’esecuzione del coro The Cambridge Singers, ascoltabile
gratuitamente su Youtube)
Descrizione elementi
|
Riferimenti temporali
|
Tonalità: sol maggiore, tempo 2/2 testura
contrappuntistica imitativa
|
|
Lunghezza dell’imitazione
iniziale: 4 battute
|
0.0 – 0.18
|
Entrata della frase al tenore (sicut cervus…)
Imitazione irregolare alla 5° al contralto
Imitazione all’ottava al soprano
Imitazione al basso
|
0.0
0.12
0.17
0.23
|
Cadenza perfetta con ritardo della terza sul V
|
1.12
|
Lunghezza della
seconda imitazione: 3 battute ca.
|
|
Entrata della seconda frase al basso(solo testa) al tenore
(3 battute) ( ita desiderat)
|
1.14
|
Imitazione al soprano
|
1.18
|
Imitazione al contralto
|
1.24
|
Imitazione al basso
|
1.30
|
Cadenza sul primo rivolto dell’accordo di tonica
(imperfetta)
|
2.08
|
Lunghezza della
terza imitazione : 3 battute
|
|
Entrata della terza frase al soprano (anima mea…)
|
2.10
|
Imitazione all’ottava al tenore
|
2.19
|
Imitazione alla quarta + ottava al basso
|
2.27
|
Imitazione alla quarta al contralto
|
2.31
|
Finale :cadenza evitata ,nota tenuta di 4 battute al
soprano,
spunto imitativo tra basso
e contralto,
cadenza plagale (IV-I)
|
2.55
2.57
3.02-3.13
|
domenica 17 febbraio 2013
Umberto Galimberti, Gli equivoci dell'anima
Un libro sulle trasformazioni del concetto d'anima. Una storia dell'anima attraverso i suoi testimoni: Platone e Nietzsche. Il primo che affida all'anima il compito di stabilizzare il linguaggio in modo che questo possa prodursi in designazioni non equivoche; il secondo perchè smobilita tutte le stabilità, le espone al vento del disgelo per liberare tutte le possibilità espressive che la maschera platonica aveva trattenuto. Tra i due l'Occidente e la sua storia: Plotino e la Gnosi, Schopenauer e il Romanticismo per continuare con Freud e la psicoanalisi, Husserl e la Fenomenologia, Heiddegger e l'ermeneutica che hanno tentato di liberare l'anima dal giogo dell'idea, ma la loro opposizione al platonismo si è rivelata di segno uguale anche se apparentemente contrario.
(dall' Introduzione al libro).
lunedì 11 febbraio 2013
Poesia Contemporanea:Cesare Viviani
Cesare Viviani è nato nel 1947 a Siena , frequenta l'ambiente letterario senese, conosce Carlo
Betocchi, Mario Luzi e Franco Fortini. Nel 1972 si trasferisce a Milano dove svolge il lavoro di
giornalista e poi di psicologo nelle istituzioni sanitarie pubbliche.
Nel 1973 si afferma come poeta con il libro di esordio L’ostrabismo cara,
edito da Feltrinelli. Nel 1984 si laurea in Psicopedagogia. Collabora
per anni con recensioni e interventi di argomento psicologico e sociale
ai quotidiani “Il Giorno”, “Corriere della Sera” e “Avvenire”.
Dal 1981 rivolge i suoi interessi di ricerca e di lavoro alla psicanalisi. Tuttora lavora come psicanalista. Dopo il 1973 ha pubblicato diversi libri di poesia. Ha scritto due saggi psicanalitici: Il sogno dell’interpretazione, (Costa & Nolan, 1989, 1991, 2006) e L’autonomia della psicanalisi, (Costa & Nolan, 2008).
Per la poesia ha ricevuto diversi premi, dei quali ricordiamo: Viareggio, Carducci, Pascoli, Pen Club, Pisa, Penna, Dessì, Cetonaverde, Ceppo, Gandovere, Brancati Zafferana.
Da "Credere all'invisibile":
la luce del giorno supera la vita,
mostra dov'è, l'abbaglia,
l'avvolge per quel poco che la vita compare -
pulsa la vita più lenta della luce,
solo per i viventi è più veloce.
Per approfondire.Clicca qui
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Dal 1981 rivolge i suoi interessi di ricerca e di lavoro alla psicanalisi. Tuttora lavora come psicanalista. Dopo il 1973 ha pubblicato diversi libri di poesia. Ha scritto due saggi psicanalitici: Il sogno dell’interpretazione, (Costa & Nolan, 1989, 1991, 2006) e L’autonomia della psicanalisi, (Costa & Nolan, 2008).
Per la poesia ha ricevuto diversi premi, dei quali ricordiamo: Viareggio, Carducci, Pascoli, Pen Club, Pisa, Penna, Dessì, Cetonaverde, Ceppo, Gandovere, Brancati Zafferana.
Penso ancora ai rischi di essere
perseguitato, le mosse
per sfuggire i pericoli se ho amato
non seguire le regole,
ma no, basta! Lo prendo per mano
il mio vecchio padre e ci mettiamo a correre,
lui ride si scioglie in un riso pieno sereno, inciampa
ma lo sostengo, vola, è leggero, un'anima
esilarante la velocità aumenta il riso
la stretta delle mani "portami con te",
ma non è lui a dirlo povero vecchio sono io
che chiedo ancora
"portami nel tuo cielo".
Da "Credere all'invisibile":
la luce del giorno supera la vita,
mostra dov'è, l'abbaglia,
l'avvolge per quel poco che la vita compare -
pulsa la vita più lenta della luce,
solo per i viventi è più veloce.
Per approfondire.Clicca qui
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giovedì 7 febbraio 2013
F.J.Haydn: Sinfonia n.94 “Il colpo di timpano” ovvero “La sorpresa”. 1. Andante (2° movimento)
Scritta nel 1791 consta di
quattro tempi.
(i riferimenti temporali sono riferiti
all’esecuzione dei Wiener
Philarmoniker diretti da W.Furtwangler)
Il nome deriva dai sorprendenti effetti del fortissimo di tutta
l’orchestra rinforzata dal timpano nel corso dell’Andante (in tre momenti
diversi).
In questo secondo movimento troviamo la forma della variazione, ossia l’arte
di riproporre più volte il tema principale ma mutandolo ogni volta in uno o più
elementi: melodia, ritmo,tonalità, orchestrazione ecc…Le variazioni
dell’andante di questa sinfonia rappresentano i principi di abbellimento
esteriore della migliore scuola del 1700.
Il tema è formato da sedici
battute costruite da due parti di otto battute ripetute, la prima parte a
carattere marziale e ritmico, l’altra a carattere melodico cantabile.
Descrizione elementi
|
Riferimenti temporali
|
Tonalità do maggiore (sottodominante del tono principale
della sinfonia); Tempo 2/4
|
|
Tema 8 battute ripetute ( carattere più deciso e ritmico)
+ 8 battute ripetute (carattere più cantabile)
Divise dal colpo di timpano e tutti orchestrali
|
0.0-1.23
0.40
|
I variazione
si sovrappone una nuova idea melodica affidata ai violini
I
|
1.24
1.29
|
II variazione
in modo minore di do
con passaggio al
relativo maggiore
Prima parte del tema con percorso armonico: do min.: I,
VI, mib:IV,V,I
Seconda parte progressione melodica con scala discendente
alternata fra violinoI, violino II
I violini I chiudono la variazione con passaggio melodico modulante che ci
riporta al tono d’impianto per la variazione successiva
|
2.46
2.57
3.24
|
III variazione
in modo maggiore il tema viene proposto a semicrome ribattute dall’oboe e
accompagnato dagli archi
Nella ripetizione si sovrappone tema melodico di flauti e
oboi
|
4.05
4.24
|
IV variazione
tema oboi con flauti all’ottava superiore, accordi in controtempo di
contrabbassi violoncelli e timpano,
viole e violini arpeggio a sestine
La seconda parte varia ritmicamente con proposta puntata
del tema
|
5.23
5.42
|
Finale testura
omoritmia di tutti gli strumenti
ripresa dell’elemento arpeggiato a sestine e dell’accordo
in controtempo della variazione precedente
|
6.22
6.31
|
Coda cambiamento
nell’armonia , trattamento ricercato e coloristico
Percorso: V/IV, VII con settima diminuita tutto su pedale
di dominante.
Ultime quattro battute sull’accordo di tonica
|
7.00
7.20
|
mercoledì 6 febbraio 2013
Antonio Tabucchi, Racconti con figure
Antonio Tabucchi, Racconti con figure, Sellerio editore Palermo, 2011.
Questi racconti nascono dalla suggestione di un'immagine, soprattutto
dalla pittura. Le figure sembrano risvegliarsi dalla loro immobilità,
acquistano vita, da immagini diventano personaggi e interpreti delle
loro storie. Un libro polifonico che è anche il puro piacere del testo,
un fuoco d'artificio narrativo, lo stupefacente cromatismo di un maestro
riconosciuto del racconto. (Thea Rimini, www.sellerio.it)
martedì 5 febbraio 2013
Benedetto Croce: Estetica
Nel trattato “
Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale” Benedetto
Croce espone i fondamenti della sua scienza estetica. In essa, l’autore rivendica l’indipendenza dell’intuizione. L’intuizione è una forma di
conoscenza al pari della conoscenza logica e trova collocazione nelle forme
artistiche. Mentre l’opera di scienza è un atto intellettivo, un’opera d’arte è
un atto intuitivo.
Per intuizione s’intende la fusione tra la realtà e
l’irrealtà. Abbracciando la filosofia idealista Croce ribadisce il concetto nel
quale si afferma che dove tutto è reale
, niente è reale. Nell’intuizione si oggettivano le nostre impressioni che
si manifestano in forme , ossia in uno spazio e un tempo individualizzato. L’intuizione non va
confusa con la sensazione perché mentre la sensazione deriva dal contatto con
la materia, l’intuizione investe la materia e la fa trionfare nella forma. Essa
è la sintesi tra sensazione e attività spirituale. In pratica c’è intuizioni solamente se c’è
elaborazione della sensazione. L’attività intuitiva rivela se stessa tramite l’espressione: tanto intuisce
quanto esprime.
Fuori dall’intuizione, le percezioni sono soltanto
impressioni, sensazioni, sentimenti, impulsi, emozioni che rimangono al di qua
dello spirito.
Potremmo sintetizzare nei seguenti punti i concetti definiti
da Croce:
- Conoscenza intuitiva è conoscenza espressiva
- Indipendenza e autonomia dell’intuizione rispetto all’intellezione.
- Realtà e irrealtà non si distinguono
- L’intuizione va oltre il sentire, l’ “oltre” trova collocazione nella forma che nasce dall’espressione. Intuire è esprimere (Espressione dell’impressione).
Nell’arte la differenza
tra intensione ed estensione fa la differenza dell’intuizione.
(Ad esempio un semplice canto popolare d’amore può essere intensivamente perfetto nella sua
povera semplicità ma estensivamente
molto più ristretto di un canto amoroso di Giacomo Leopardi). Per questo, si
può affermare che esiste una sola estetica che abbraccia la formazione del più
piccolo e ordinario concetto e la costruzione del più complicato sistema. La differenza è sempre e solo qualitativa.
L’unità nella varietà è il concetto fondamentale nell’arte e l’attività
estetica è la fusione delle impressioni in un tutto organico. L’espressione è
sintesi del vario nell’uno. L’artista con la sua sensibilità o passionalità
accoglie la materia nel suo animo, con lucidità e freddezza assoggetta e domina
il tumulto sensazionale e passionale e lo veicola nella forma.
Per Croce, arte e scienza sono distinte ma anche congiunte
per un lato: quello estetico. Ogni
opera di scienza è insieme opera d’arte. La materia poetica corre negli animi
di tutti: gli artisti sanno tramutarla in forma, gli altri no. Per questo
nell’arte non è il contenuto che crea l’opera ma la forma.
La vera scienza è filosofica perché si occupa di concetti
universali, le scienze naturali, pur avendo la loro utilità, non lo sono in quanto sono complessi di
conoscenze di origine pratica arbitrariamente estratte e fissate.
Le due forme pure della conoscenza sono l’intuizione e il concetto e esauriscono tutto il dominio teoretico
dello spirito. Lo spirito teoretico si
attua con la volontà. Ossia l’uscita dello
spirito dalla mera contemplazione che attraverso la volontà si fa produttrice
di azioni. Nella volontà è inclusa anche la volontà del non fare, del
resistere. Con la forma teoretica l’uomo
comprende le cose, con quella
pratica le viene attuando e attuandole inevitabilmente le muta. Ogni azione, per piccola che sia, non può essere azione
davvero, cioè azione voluta, se non preceduta dall’attività conoscitiva. L’arte
è indipendente oltre che dalla conoscenza logica anche dalla scienza,
dall’utile e dalla morale. L’arte è per
l’arte.
Lyraorfeo
domenica 3 febbraio 2013
Poesia Contemporanea: Milo De Angelis
Milo De Angelis nato a Milano nel 1951, dove insegna nel carcere di Opera. Ha pubblicato le raccolte: Somiglianze (1976), Millimetri (1983), Terra del viso (1985), Distante un padre (1989), Biografia sommaria (1999), Tema dell’addio (Premio Viareggio 2005), Quell'andarsene nel buio dei cortili (2010).
da Tema dell'addio:
Tutto era già in cammino. Da allora a qui. Tutto
il tempo, luminoso, sfiorava le labbra. Tutti
i respiri si riunivano nella collana. Le ombre
di Lambrate chiusero la porta. Tutta la stanza,
assorta, diventò il primo battito. Il nero
dei tuoi capelli contro il giallo dell’ultimo raggio.
Da allora a qui. Era il primo giorno dell’estate.
Il silenzio ci riempiva la fronte. Tutto era
già in cammino, da allora, tutto era qui, unico
e perduto, nostro e remoto, ardente. Tutto chiedeva
di essere atteso, di tornare nel suo vero nome.
da Biografia sommaria :
STORIOGRAFIA
Non abbiamo visto niente se non quel vedere
sfioriti i versi e la morte, fallimento muto
degli occhi per noi estratti a sorte.
Nostra Signora delle nebbie perenni e del minuto
di’ quale vita abbiamo vissuto, in quale dimora
la musica delle sfere non scende su Greco e i millenni
sono un metro d’asfalto, naviglio celeste
tra gli altiforni e il capogiro.
“Nell’uomo che liricamente li sveste
i morti trovano consiglio.”
per approfondire, clicca qui (scheda Treccani)
Il pensiero debole
Il postmodernismo, filosoficamente nasce come reazione alla
fine di quelle “grandi narrazioni” che avrebbero caratterizzato la modernità
(marxismo, progressismo borghese, liberismo classico, cristianesimo politico,
ecc..). Ciò si caratterizza da un processo di “decostruzione”, ossia dalla messa in luce di elementi "impuri" che sono alla base delle grandi concezioni. I fautori del
postmoderno e del pensiero debole, partendo dalla convinzione dell’impossibilità
di definire l’essere, scoprono nell’”ermeneutica” lo strumento conoscitivo che
ci consente di superare la “dittatura del presente” o la “violenza della verità”.
La verità, quindi, non è più un concetto definitivo ma è ciò che io costruisco
con l’accordo dei miei simili, la verità non è assoluta ma dinamica all’interno
di vari contesti. Il pensiero debole persegue un’ indistinzione sempre più marcata tra vero e falso, è la
fine delle sintesi unitarie ed è propenso alla frammentazione del sapere. La storia
è vista come una successione di illuminazioni ma senza nessuna linea
ontologicamente garantita. Per questo soltanto l’interpretazione dei fatti può
creare l’accordo sulle verità di fatto che consentono una continuità nella
storia delle dissoluzioni, permettendoci di avere un filo conduttore per
orientarsi in qualche direzione. Il movimento postmoderno è rappresentato da
filosofi quali: Lyotard, Deridda, Foucault, Vattimo, le cui lontane origini
sono da collocarsi nel pensiero di Nietzsche. Il pensiero debole che viene
contrapposto al pensiero forte delle ideologie accetta il carattere
problematico di ogni conoscenza e l’impossibilità di spiegazioni unitarie del
mondo. La parola chiave non è più “ragione” ma “ragionevolezza”.
Bibliografia:
Corrado Ocone, Articolo su Il Riformista del 30 Agosto,2011
Ubaldo Nicola, Atlante Illustrato di Filosofia Giunti, 2005
Per approfondire, segui il dibattito attualmente in corso tra pensiero debole e new realism che si sta svolgendo in ambito filosofico clicca qui
sabato 2 febbraio 2013
Tre poeti spagnoli del Primo Novecento
Garcia
Lorca, Machado, Jiménez.
Manuel De Falla, Homenaje pour Le Tombeau De Debussy, chit. Julian Bream
l
La chitarra
Federico Garcia Lorca
Incomincia il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell'alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
E' inutile
farla tacere.
Si rompono le coppe
dell'alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
E' inutile
farla tacere.
E’ impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange l'acqua,
come piange il vento
sulla neve.
E' impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
Arena del caldo meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio,
la sera senza domani,
e il primo uccello morto
sopra il ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
Piange monotona
come piange l'acqua,
come piange il vento
sulla neve.
E' impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
Arena del caldo meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio,
la sera senza domani,
e il primo uccello morto
sopra il ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
da cinque spade!
(Trad.
Carlo Bo)
da : Solitudini
VIII
Antonio Machado
Io ascolto i canti
di vecchi motivi
che i bimbi cantano
in coro giocando,
e spandono in coro
anime sognanti
come versano acqua
le fonti di pietra:
con monotonie
di risate eterne,
che non sono allegre,
con vecchie lacrime
che non sono amare
e dicon tristezze,
tristezze di amori
di antiche leggende.
Con labbra bambine,
recan le canzoni
la confusa storia
e la chiara pena;
come chiara l’acqua
reca la sua fiaba
degli antichi amori,
che mai si narrano.
Giocando all’ombra
d’una piazza antica,
cantavano i bimbi….
la fonte di pietra
versava il cristallo
di leggenda eterno.
Cantavano i bambini
ingenue canzoni
di ciò che passa
e non arriva mai:
la confusa storia
e la chiara pena.
Versava la fonte
la sua fiaba eterna:
svanita la storia
narrava la pena.
(Trad. Claudio Rendina )
da: Eternità
IV
Juan Ramon Jiménez
Scaglia la pietra di
oggi;
dimentica e dormi. Se
è luce,
la troverai domani
nell’aurora,
diventata sole.
(Trad. Claudio Rendina)
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