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mercoledì 27 febbraio 2013

Claudio Monteverdi



Vita

Nacque a Cremona il 15 maggio 1567, figlio di Baldassarre, medico e di Maddalena Zignani. Iniziò ben presto lo studio della musica sotto la guida di Marc’Antonio Ingegneri, maestro di cappella del duomo di Cremona, il quale gli impartì lezioni di viola e contrappunto. La sua prima pubblicazione risale all’età di quindici anni: Sacrae Cantiunculae a 3 voci (1582). Nel 1589 venne assunto come violista alla corte di Mantova dei Gonzaga, dal duca Vincenzo che successe al padre nella titolarità dei due ducati e che fece di Mantova uno dei maggiori centri d’arte in Italia: Rubens per la pittura, Tasso per la letteratura, Monteverdi per la musica sono i fiori all’occhiello di questo mecenate che sposatosi nel 1584 con Leonora De’ Medici stabilì fecondi rapporti con Firenze per l’arte e per la creazione di quel melodramma che si concretizzò grazie alla genialità di Monteverdi.
Molti viaggi compì in questi anni Monteverdi, accompagnando il duca in Ungheria, nelle Fiandre (viaggio particolarmente importante per la conoscenza della musica francese) a Roma e a Milano.
Nel 1599 si sposò con Claudia Cattaneo, cantante di corte, dalla quale ebbe due figli: Francesco che fu musicista e Massimiliano.
Nel 1601 venne nominato maestro della musica a corte, i suoi compiti comprendevano l’ insegnamento, la direzione di un gruppo vocale femminile e  la composizione di opere per il teatro e per il carnevale. Il 24 febbraio del 1607 nel palazzo Ducale di Mantova ci fu il debutto de L’Orfeo, primo capolavoro della storia dell’opera. In quello stesso anno morì la moglie e Claudio si ritrovò da solo con i due figli piccoli e in difficili condizioni. Nel 1612 alla morte di Vincenzo Gonzaga, subentrò il figlio Francesco che licenziò Claudio Monteverdi e suo fratello Giulio Cesare anch’egli musicista ed in servizio dai Gonzaga dal 1604.
Dopo un periodo di ristrettezze e di sconforto Claudio Monteverdi fu assunto nel 1613 come maestro di cappella nella basilica di S. Marco a Venezia, posto che manterrà fino alla morte. Nel 1632 prese i voti sacerdotali. Nel 1643 venne rappresentata la sua ultima opera, il dramma musicale ”L’Incoronazione di Poppea”. Morì il 29 Novembre 1643 a Venezia e venne sepolto nella Chiesa dei Frari.




  Monteverdi e la “Seconda pratica

In quell’ambiente colto e raffinato della corte di Mantova, dove l’amicizia tra letterati e musicisti favoriva scambi culturali assai prolifici, Claudio Monteverdi portò a compimento la sua formazione artistica ed elaborò quelle idee che grazie al suo genio lo porteranno sulle vie della più ardita riforma musicale, via che segnerà il passaggio dalla musica rinascimentale a quella barocca. Saranno proprio le sue tendenze progressiste ad attirare a se aspre critica dalla parte dei teorici conservatori. Il maggiore critico fu L’Artusi, il più polemico nei riguardi della musica monteverdiana. Per chiarire la sua posizione Monteverdi definì la sua musica “Seconda pratica” opponendola alla prima ed implicando che i modelli della vecchia scuola non era applicabili alla sua nuova concezione musicale ossia che il suo progetto era quello di esaltare l’espressività della parola, assecondandone il ritmo e la musicalità che già essa possiede in sé.
Egli mirava a creare un linguaggio musicale che realizzasse, mediante il perfetto connubio di parole e musica e con l’ausilio dell’armonia, la verità dell’espressione. Tesi che fu ribadita e chiaramente espressa in una prefazione scritta dal fratello Giulio Cesare, nella pubblicazione  degli scherzi musicali del 1607. Monteverdi per il suo melodramma, si ispira a ciò che sta avvenendo a Firenze, con Peri e Rinucci e con L’ Orfeo, rappresentato nel 1607, raggiunge il suo scopo creando quel capolavoro che verrà accolto trionfalmente in varie città italiane. A tale opera seguì L’Arianna, purtroppo andata persa (rimane soltanto Il Lamento di Arianna che fu ripubblicato separatamente nel 1623). A Venezia egli si rivelò fecondo compositore di musica sacra ma tuttavia senza tralasciare le composizioni per il teatro e la composizione di madrigali.
Nel corso della sua vita scrisse 8 libri di madrigali (un nono fu pubblicato postumo). Molte opere drammatiche andarono perse e quelle complete che ci restano sono: L’Orfeo (1607), Il Ritorno in patria di Ulisse (1640) e L’Incoronazione di Poppea (1643).



Aria per voce e continuo, SV 332 : Si dolce è 'l tormento




 Si dolce è'l tormento
Ch'in seno mi sta,
Ch'io vivo contento
Per cruda beltà.
Nel ciel di bellezza
S'accreschi fierezza
Et manchi pietà:
Che sempre qual scoglio
All'onda d'orgoglio
Mia fede sarà.

La speme fallace
Rivolgam' il piè.
Diletto ne pace
Non scendano a me.
E l'empia ch'adoro
Mi nieghi ristoro
Di buona mercè:
Tra doglia infinita,
Tra speme tradita
Vivrà la mia fè.

Per foco e per gelo
Riposo non hò.
Nel porto del Cielo
Riposo haverò.
Se colpo mortale
Con rigido strale
Il cor m'impiagò,
Cangiando mia sorte
Col dardo di morte
Il cor sanerò.

Se fiamma d'amore
Già mai non sentì
Quel riggido core
Ch'il cor mi rapì,
Se nega pietate
La cruda beltate
Che l'alma invaghì:
Ben fia che dolente,
Pentita e languente
Sospirimi un dì.







martedì 19 febbraio 2013

Giovanni Pierluigi da Palestrina


Vita di Giovanni Pierluigi

Nacque nel 1525 a Palestrina, da Sante di Pierluigi. Nel 1537 si trasferì a Roma dove entrò come putto cantore nella Basilica di S.Maria Maggiore e dove compì la sua formazione musicale sotto la guida di R. Mallapart.
Nel 1544 torna a Palestrina  dove diventa organista e Maestro presso la Cattedrale di S. Agapito e dove sposa la sua conterranea Lucrezia Gori dalla quale avrà tre figli: Rodolfo, Angelo e Igino. Quando il Vescovo di Palestrina Giovanni Maria del Monte, estimatore di Pierluigi, diviene papa sotto il nome di Giulio III, lo chiama a se come maestro presso la Cappella Giulia, incarico che inizierà nel Settembre 1551 fino al 1555 anno in cui fu chiamato come cantore alla Cappella Pontificia. Pochi mesi dopo la nomina a cantore avviene la morte di Giulio III e il papa Paolo IV rifacendosi al regolamento che vieta ai cantori di essere ammogliati espelle dalla cappella Pierluigi, insieme ad altri due cantori ammogliati, assegnando loro un vitalizio di sei scudi mensili a titolo di ricompensa.
Nel 1555 fu chiamato in S.Giovanni in Laterano come Maestro di Cappella, posto che mantenne fino al 1561.
Sono di questo periodo le Lamentazioni a 4 voci ed un volume di Magnificat a 5 e 6 voci, gli Improprii e l’inno Crux Fidelis a 8 voci che fu cantato per la prima volta il Venerdi Santo del 1560. Nel Marzo 1561 passa al servizio della Basilica Liberiana (S.Maria Maggiore), nel 1565 al Seminario Romano e contemporaneamente nel 1567 presta servizio presso il Cardinale Ippolito d’Este come Maestro di Concerti.
Nel 1571 alla morte di Giovanni Animuccia riprenderà il posto di Direttore Musicale della Cappella Giulia, dal 1572 egli vivrà una serie di lutti: nel 1572 il figlio Rodolfo di 23 anni, nel 1573 il fratello Silla, suo allievo di composizione insieme ai suoi figli, nel 1575 il figlio Angelo di 24 anni, e nel 1580 la moglie Lucrezia. Il susseguirsi di tali tristi eventi fanno cadere Giovanni Pierluigi in un periodo di sconforto e di crisi, infatti deciderà di prendere la tonsura (rito che precede il conferimento degli ordini sacri) ma pochi mesi dopo la decisione, nel 1581, si sposa con Virginia Dormoli, una ricca vedova romana. Questo fu un periodo di agiatezza economica che consentì al compositore di dedicarsi alla  pubblicazione di molti dei suoi lavori. Morì nel 1594 e fu sepolto con grandi onori nella Basilica di S. Pietro.

 Contesto storico musicale


Il Principe della musica, così chiamato Giovanni Pierluigi, per la sua raffinatezza musicale  e per la purezza della scrittura, fu il massimo esponente della musica polifonica del Cinquecento e il massimo rappresentante della Scuola Romana nata per attuare le linee caratterizzanti della musica controriformista definite nel Concilio di Trento (1545-1563) convocato da Paolo III.  Col suo modo di comporre, Pierluigi, creò uno stile che rimase come modello per lungo tempo: “Stile alla Palestrina”. Le direttive in campo musicale del suddetto Concilio di Trento furono: divieto di accompagnamento strumentale per la maggior parte della musica sacra (predilezione per la  musica a cappella), proibizione di usare cantus firmi profani, si dovevano usare esclusivamente a tale scopo canti gregoriani, Lo stile doveva rimanere rigorosamente polifonico ma limitando i fugati e semplificando il contrappunto a favore della chiarezza testuale, attuare la purificazione da quegli elementi provenienti dalla musica profana come le diminuzioni e gli abbellimenti finalizzati al solo compiacimento dei sensi.






Il mottetto Sicut Cervus è considerato uno degli esempi più significativi di arte corale religiosa del Rinascimento. Il testo latino è tratto dal salmo 42: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio”. Per mottetto Rinascimentale si intende una composizione polifonica vocale su testo sacro, deriva dal francese “mots” che significa parola. La caratteristica di tale composizione è il  susseguirsi   di entrate in imitazione delle voci finchè si termina con una cadenza, dopodiché inizia un’altra frase e compie lo stesso iter. Per avere punti di riferimento all’ascolto è bene concentrarsi in modo particolare sulle entrate delle frasi prestando massima attenzione alle imitazioni, alla loro lunghezza, e sulle cadenze. Nel sicut cervus troviamo tre frasi in imitazione, le altre imitazioni sono solo parziali (spunti imitativi) il tutto termina con una cadenza plagale (IV-I). Le voci  come di consueto nei cori a quattro voci a cappella sono: Soprano, Contralto, Tenore, Basso. ( i riferimenti temporali sono riferiti all’esecuzione del coro The Cambridge Singers, ascoltabile gratuitamente su Youtube)





Descrizione elementi
Riferimenti temporali
Tonalità: sol maggiore, tempo 2/2 testura contrappuntistica imitativa

Lunghezza dell’imitazione iniziale: 4 battute
0.0 – 0.18
Entrata della frase al tenore (sicut cervus…)
Imitazione irregolare alla 5° al contralto
Imitazione all’ottava al soprano
Imitazione al basso
0.0
0.12
0.17
0.23
Cadenza perfetta con ritardo della terza sul V
1.12
Lunghezza della seconda imitazione: 3 battute ca.

Entrata della seconda frase al basso(solo testa) al tenore (3 battute) ( ita desiderat)
1.14
Imitazione al soprano
1.18
Imitazione al contralto
1.24
Imitazione al basso
1.30
Cadenza sul primo rivolto dell’accordo di tonica (imperfetta)
2.08
Lunghezza della terza imitazione : 3 battute

Entrata della terza frase al soprano (anima mea…)
2.10
Imitazione all’ottava al tenore
2.19
Imitazione alla quarta + ottava al basso
2.27
Imitazione alla quarta  al contralto
2.31
Finale :cadenza evitata ,nota tenuta di 4 battute al soprano,
spunto imitativo tra basso  e contralto,
cadenza plagale (IV-I)
2.55
2.57
3.02-3.13




domenica 17 febbraio 2013

Umberto Galimberti, Gli equivoci dell'anima

Un libro sulle trasformazioni del concetto d'anima. Una storia dell'anima attraverso i suoi testimoni: Platone e Nietzsche. Il primo che affida all'anima il compito di stabilizzare il linguaggio in modo che questo possa prodursi in designazioni non equivoche; il secondo perchè smobilita tutte le stabilità, le espone al vento del disgelo per liberare tutte le possibilità espressive che la maschera platonica aveva trattenuto. Tra i due l'Occidente e la sua storia: Plotino e la Gnosi, Schopenauer e il Romanticismo per continuare con Freud e la psicoanalisi, Husserl e la Fenomenologia, Heiddegger e l'ermeneutica che hanno tentato di liberare l'anima dal giogo dell'idea, ma la loro opposizione al platonismo si è rivelata di segno uguale anche se apparentemente contrario.         
  (dall' Introduzione al libro).


lunedì 11 febbraio 2013

Poesia Contemporanea:Cesare Viviani

Cesare Viviani è nato nel 1947 a Siena , frequenta l'ambiente letterario  senese, conosce Carlo Betocchi, Mario Luzi e Franco Fortini. Nel 1972 si trasferisce a Milano dove svolge il lavoro di giornalista e poi di psicologo nelle istituzioni sanitarie pubbliche. Nel 1973 si afferma come poeta con il libro di esordio L’ostrabismo cara, edito da Feltrinelli. Nel 1984 si laurea in Psicopedagogia. Collabora per anni con recensioni e interventi di argomento psicologico e sociale ai quotidiani “Il Giorno”, “Corriere della Sera” e “Avvenire”.
Dal 1981 rivolge i suoi interessi di ricerca e di lavoro alla psicanalisi. Tuttora lavora come psicanalista. Dopo il 1973 ha pubblicato diversi libri di poesia. Ha scritto due saggi psicanalitici: Il sogno dell’interpretazione, (Costa & Nolan, 1989, 1991, 2006) e L’autonomia della psicanalisi, (Costa & Nolan, 2008).
Per la poesia ha ricevuto diversi premi, dei quali ricordiamo: Viareggio, Carducci, Pascoli, Pen Club, Pisa, Penna, Dessì, Cetonaverde, Ceppo, Gandovere, Brancati Zafferana.

Penso ancora ai rischi di essere
perseguitato, le mosse
per sfuggire i pericoli se ho amato
non seguire le regole,
ma no, basta! Lo prendo per mano
il mio vecchio padre e ci mettiamo a correre,
lui ride si scioglie in un riso pieno sereno, inciampa
ma lo sostengo, vola, è leggero, un'anima
esilarante la velocità aumenta il riso
la stretta delle mani "portami con te",
ma non è lui a dirlo povero vecchio sono io
che chiedo ancora
"portami nel tuo cielo".


Da "Credere all'invisibile":

la luce del giorno supera la vita,
mostra dov'è, l'abbaglia,
l'avvolge per quel poco che la vita compare -
pulsa la vita più lenta della luce,
solo per i viventi è più veloce.


Per approfondire.Clicca qui
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giovedì 7 febbraio 2013

F.J.Haydn: Sinfonia n.94 “Il colpo di timpano” ovvero “La sorpresa”. 1. Andante (2° movimento)

Scritta nel 1791 consta di quattro tempi.
Il nome deriva dai sorprendenti effetti del fortissimo di tutta l’orchestra rinforzata dal timpano nel corso dell’Andante (in tre momenti diversi).
In questo secondo movimento troviamo la forma della variazione, ossia l’arte di riproporre più volte il tema principale ma mutandolo ogni volta in uno o più elementi: melodia, ritmo,tonalità, orchestrazione ecc…Le variazioni dell’andante di questa sinfonia rappresentano i principi di abbellimento esteriore della migliore scuola del 1700.
Il tema è formato da sedici battute costruite da due parti di otto battute ripetute, la prima parte a carattere marziale e ritmico, l’altra a carattere melodico cantabile.
(i riferimenti temporali sono riferiti all’esecuzione dei Wiener Philarmoniker diretti da W.Furtwangler)


Descrizione elementi
Riferimenti temporali
Tonalità do maggiore (sottodominante del tono principale della sinfonia); Tempo 2/4

Tema 8 battute ripetute ( carattere più deciso e ritmico) + 8 battute ripetute (carattere più cantabile)
Divise dal colpo di timpano e tutti orchestrali
0.0-1.23

0.40
I variazione
si sovrappone una nuova idea melodica affidata ai violini I
1.24
1.29
II variazione in modo minore di do
 con passaggio al relativo maggiore
Prima parte del tema con percorso armonico: do min.: I, VI, mib:IV,V,I
Seconda parte progressione melodica con scala discendente alternata fra violinoI, violino II
I violini I chiudono la variazione  con passaggio melodico modulante che ci riporta al tono d’impianto per la variazione successiva

2.46
2.57

3.24


III variazione in modo maggiore il tema viene proposto a semicrome ribattute dall’oboe e accompagnato dagli archi
Nella ripetizione si sovrappone tema melodico di flauti e oboi
4.05

4.24
IV variazione tema oboi con flauti all’ottava superiore, accordi in controtempo di contrabbassi  violoncelli e timpano, viole e violini arpeggio a sestine
La seconda parte varia ritmicamente con proposta puntata del tema
5.23

5.42
Finale testura omoritmia di tutti gli strumenti
ripresa dell’elemento arpeggiato a sestine e dell’accordo in controtempo della variazione precedente
6.22
6.31
Coda cambiamento nell’armonia , trattamento ricercato e coloristico
Percorso: V/IV, VII con settima diminuita tutto su pedale di dominante.
Ultime quattro battute sull’accordo di tonica
7.00

7.20

mercoledì 6 febbraio 2013

Antonio Tabucchi, Racconti con figure

Antonio Tabucchi, Racconti con figure, Sellerio editore Palermo, 2011.


Questi racconti nascono dalla suggestione di un'immagine, soprattutto dalla pittura. Le figure sembrano risvegliarsi dalla loro immobilità, acquistano vita, da immagini diventano personaggi e interpreti delle loro storie. Un libro polifonico che è anche il puro piacere del testo, un fuoco d'artificio narrativo, lo stupefacente cromatismo di un maestro riconosciuto del racconto. (Thea Rimini, www.sellerio.it)

martedì 5 febbraio 2013

Benedetto Croce: Estetica



Nel trattato “ Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale” Benedetto Croce espone i fondamenti della sua scienza estetica. In essa, l’autore  rivendica l’indipendenza dell’intuizione. L’intuizione è una forma di conoscenza al pari della conoscenza logica e trova collocazione nelle forme artistiche. Mentre l’opera di scienza è un atto intellettivo, un’opera d’arte è un atto intuitivo.
Per intuizione s’intende la fusione tra la realtà e l’irrealtà. Abbracciando la filosofia idealista Croce ribadisce il concetto nel quale si afferma che dove tutto è reale , niente è reale. Nell’intuizione si oggettivano le nostre impressioni che si manifestano in forme , ossia in uno spazio e un  tempo individualizzato. L’intuizione non va confusa con la sensazione perché mentre la sensazione deriva dal contatto con la materia, l’intuizione investe la materia e la fa trionfare nella forma. Essa è la sintesi tra sensazione e attività spirituale. In pratica c’è intuizioni solamente se c’è elaborazione della sensazione. L’attività intuitiva rivela se stessa tramite l’espressione: tanto intuisce quanto esprime.
Fuori dall’intuizione, le percezioni sono soltanto impressioni, sensazioni, sentimenti, impulsi, emozioni che rimangono al di qua dello spirito.

Potremmo sintetizzare nei seguenti punti i concetti definiti da Croce:
  • Conoscenza intuitiva è conoscenza espressiva
  • Indipendenza e autonomia dell’intuizione rispetto all’intellezione.
  • Realtà e irrealtà non si distinguono
  • L’intuizione va oltre il sentire, l’ “oltre” trova collocazione nella forma che nasce dall’espressione. Intuire è esprimere (Espressione dell’impressione).

Nell’arte la differenza  tra intensione ed estensione fa la differenza dell’intuizione.
(Ad esempio un semplice canto popolare d’amore può essere intensivamente perfetto nella sua povera semplicità ma estensivamente molto più ristretto di un canto amoroso di Giacomo Leopardi). Per questo, si può affermare che esiste una sola estetica che abbraccia la formazione del più piccolo e ordinario concetto e la costruzione del più complicato sistema. La differenza è sempre e solo qualitativa. L’unità nella varietà è il concetto fondamentale nell’arte e l’attività estetica è la fusione delle impressioni in un tutto organico. L’espressione è sintesi del vario nell’uno. L’artista con la sua sensibilità o passionalità accoglie la materia nel suo animo, con lucidità e freddezza assoggetta e domina il tumulto sensazionale e passionale e lo veicola nella forma.

Per Croce, arte e scienza sono distinte ma anche congiunte per un lato: quello estetico. Ogni opera di scienza è insieme opera d’arte. La materia poetica corre negli animi di tutti: gli artisti sanno tramutarla in forma, gli altri no. Per questo nell’arte non è il contenuto che crea l’opera ma la forma.
La vera scienza è filosofica perché si occupa di concetti universali, le scienze naturali, pur avendo la loro utilità, non lo sono in quanto sono complessi di conoscenze di origine pratica arbitrariamente estratte e fissate.
Le due forme pure della conoscenza sono l’intuizione e il concetto e esauriscono tutto il dominio teoretico dello spirito. Lo spirito teoretico si attua con la volontà. Ossia l’uscita dello  spirito dalla mera contemplazione che attraverso la volontà si fa produttrice di azioni. Nella volontà è inclusa anche la volontà del non fare, del resistere. Con la forma teoretica l’uomo comprende le cose, con quella pratica le viene attuando e attuandole inevitabilmente le muta. Ogni azione, per piccola che sia, non può essere azione davvero, cioè azione voluta, se non preceduta dall’attività conoscitiva. L’arte è indipendente oltre che dalla conoscenza logica anche dalla scienza, dall’utile e dalla morale. L’arte è per l’arte.
Lyraorfeo

domenica 3 febbraio 2013

Poesia Contemporanea: Milo De Angelis

Milo De Angelis  nato a Milano nel 1951, dove insegna nel carcere di Opera. Ha pubblicato le raccolte: Somiglianze (1976), Millimetri (1983), Terra del viso (1985), Distante un padre (1989), Biografia sommaria (1999), Tema dell’addio (Premio Viareggio 2005), Quell'andarsene nel buio dei cortili (2010).

da Tema dell'addio:

Tutto era già in cammino. Da allora a qui. Tutto
il tempo, luminoso, sfiorava le labbra. Tutti
i respiri si riunivano nella collana. Le ombre
di Lambrate chiusero la porta. Tutta la stanza,
assorta, diventò il primo battito. Il nero
dei tuoi capelli contro il giallo dell’ultimo raggio.
Da allora a qui. Era il primo giorno dell’estate.
Il silenzio ci riempiva la fronte. Tutto era
già in cammino, da allora, tutto era qui, unico
e perduto, nostro e remoto, ardente. Tutto chiedeva
di essere atteso, di tornare nel suo vero nome.

 da Biografia sommaria :

STORIOGRAFIA
Non abbiamo visto niente se non quel vedere
sfioriti i versi e la morte, fallimento muto
degli occhi per noi estratti a sorte.
Nostra Signora delle nebbie perenni e del minuto
di’ quale vita abbiamo vissuto, in quale dimora
la musica delle sfere non scende su Greco e i millenni
sono un metro d’asfalto, naviglio celeste
tra gli altiforni e il capogiro.
“Nell’uomo che liricamente li sveste
i morti trovano consiglio.”

per approfondire, clicca qui (scheda Treccani)

Il pensiero debole


 Il postmodernismo, filosoficamente nasce come reazione alla fine di quelle “grandi narrazioni” che avrebbero caratterizzato la modernità (marxismo, progressismo borghese, liberismo classico, cristianesimo politico, ecc..). Ciò si caratterizza da un processo di “decostruzione”, ossia dalla messa in luce di elementi "impuri" che sono alla base delle grandi concezioni. I fautori del postmoderno e del pensiero debole, partendo dalla convinzione dell’impossibilità di definire l’essere, scoprono nell’”ermeneutica” lo strumento conoscitivo che ci consente di superare la “dittatura del presente” o la “violenza della verità”. La verità, quindi, non è più un concetto definitivo ma è ciò che io costruisco con l’accordo dei miei simili, la verità non è assoluta ma dinamica all’interno di vari contesti. Il pensiero debole persegue un’ indistinzione sempre più marcata tra vero e falso, è la fine delle sintesi unitarie ed è propenso alla frammentazione del sapere. La storia è vista come una successione di illuminazioni ma senza nessuna linea ontologicamente garantita. Per questo soltanto l’interpretazione dei fatti può creare l’accordo sulle verità di fatto che consentono una continuità nella storia delle dissoluzioni, permettendoci di avere un filo conduttore per orientarsi in qualche direzione. Il movimento postmoderno è rappresentato da filosofi quali: Lyotard, Deridda, Foucault, Vattimo, le cui lontane origini sono da collocarsi nel pensiero di Nietzsche. Il pensiero debole che viene contrapposto al pensiero forte delle ideologie accetta il carattere problematico di ogni conoscenza e l’impossibilità di spiegazioni unitarie del mondo. La parola chiave non è più “ragione” ma “ragionevolezza”.


Bibliografia: 

Corrado Ocone, Articolo su Il Riformista del 30 Agosto,2011
Ubaldo Nicola, Atlante Illustrato di Filosofia Giunti, 2005

Per approfondire, segui il dibattito attualmente in corso tra pensiero debole e new realism che si sta svolgendo in ambito filosofico clicca qui 

sabato 2 febbraio 2013

Tre poeti spagnoli del Primo Novecento


Garcia Lorca, Machado, Jiménez.




          Manuel De Falla, Homenaje pour  Le Tombeau De Debussy, chit. Julian Bream 
l


 La chitarra
Federico Garcia Lorca
                                                                                   
Incomincia il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell'alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
E' inutile
farla tacere.
E’ impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange l'acqua,
come piange il vento
sulla neve.
E' impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
Arena del caldo meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio,
la sera senza domani,
e il primo uccello morto
sopra il ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
 da cinque spade!

(Trad. Carlo Bo)


 

da : Solitudini 
VIII
Antonio Machado

Io ascolto i canti
di vecchi motivi
che i bimbi cantano
in coro giocando,
e spandono in coro
anime sognanti
come versano acqua
le fonti di pietra:
con monotonie
di risate eterne,
che non sono allegre,
con vecchie lacrime
che non sono amare
 e dicon tristezze,
tristezze di amori
di antiche leggende.

Con labbra bambine,
recan le canzoni
la confusa storia
e la chiara pena;
come chiara l’acqua
reca la sua fiaba
degli antichi amori,
che mai si narrano.

Giocando all’ombra
d’una piazza antica,
cantavano i bimbi….

la fonte di pietra
versava il cristallo
di leggenda eterno.

Cantavano i bambini
ingenue canzoni
di ciò che passa
e non arriva mai:
la confusa storia
e la chiara pena.

Versava la fonte
la sua fiaba eterna:
svanita la storia
narrava la pena.

(Trad. Claudio Rendina )




 
da: Eternità
IV
Juan Ramon Jiménez

Scaglia la pietra di oggi;
dimentica e dormi. Se è luce,
la troverai domani
nell’aurora, diventata sole.

(Trad. Claudio Rendina)




venerdì 1 febbraio 2013

Marius Schneider, Il significato della musica.

Marius Schneider, Il significato della musica, 1970.

Scheda riassuntiva  

L’essenza della musica. 

 “All’inizio fu la Parola” è un concetto che appartiene al patrimonio più arcaico dell’umanità. “Parola” nel senso originario era intesa sopraconcettualmente, indefinibile e inconcepibile per il pensiero logico. Un essere ancora immateriale che dalla quiete del non essere improvvisamente risuona, a poco a poco convertendosi in materia, e così diventa mondo creato. Le prime materializzazioni di questi suoni sono gli astri e le costellazioni (armonia delle sfere). Tutto il mondo materiale è una musica, gradatamente consolidatasi, una somma di vibrazioni, le cui frequenze si allungano nella misura in cui si materializzano. Per questo il puro suono ha un grado di essenza maggiore della parola detta, il suono è l’anima della poesia. La parola allude, solo il suono di essa è esplicito e arriva nel profondo. Osservando monumenti dedicati agli dèi messicani si è potuto notare che le parole di suono uguale sono rappresentate dallo stesso segno. Tutto ciò che suona uguale ha un ugual valore al di là del loro significato. La sostanza delle parole è il suono e per sostanza vengono congiunte. L’altro elemento che si evidenzia in questa indagine è il ritmo. Il dio prese come modello creatore il ritmo. Ossia un ordine che si ripete ciclicamente. Notte/giorno, le stagioni dell’anno, lo scandire del tempo, nascita/morte. Il ritmo primordiale è quindi duale. La teoria cosmogonica fondata sulla creazione per mezzo del suono afferma che la nota primordiale risuonando crea il mondo, dall’unione del suono con il tempo scaturisce la musica. Il linguaggio parlato, che nasce dal suono, deve la sua origine alla paura, per cui l’originario splendore musicale si offuscò degradandosi a linguaggio parlato. Il suono si forma nella cavità, cioè nell’assenza di materia. I primitivi spiegavano così il fenomeno: gli spiriti abitano le caverne, gli alberi cavi, o le vecchie barche abbandonate e attragono ogni cosa vivente, sia per infondervi nuova forza, sia per rigenerare se stessi. I morti sono esseri pietrificati e cantanti (in Spagnolo Encantar e Desencantar originariamente significavano rispettivamente pietrificare e richiamare in vita). L’uomo comune non è in grado di vederli ma si possono tuttavia udire i loro gemiti nel buio della notte. Agli sciamani compaiono anche in sogno per donare loro un canto di forza magica che è un canto medicinale. Il sogno (stato di semicoscienza) come fonte di ispirazione è comune a tutta la mitologia primitiva. Il suono è il veicolo del morto o il morto stesso. Il suono è legato per sua natura alla teoria del sacrificio è il prodotto di uno scambio costante fra tensione e rilasciamento. Esprime il rapporto fra i due poli opposti: ogni morte trapassa nella vita e ogni vita nella morte. Il sacrificio ha una vittima ed essa è il veicolo stesso usato per superare il dualismo. Il suono unico veicolo per raggiungere il divino rappresenta il sacrificio più alto, infatti la melodia per avanzare deve sacrificare ogni nota soffocando se stessa a vantaggio delle altre. Anche lo strumento musicale è considerata un’ arma mistica, ma solo se il suo padrone gli ha recato la vittima indispensabile. (Gli strumenti sono ricavati da animali: pelli tese, ossa lunghe, teschi, ecc..). Le prime canzoni pare siano nate ad imitazione di versi animale “eseguiti con voce bestiale”, a seconda del dio a cui si rivolgevano imitavano un animale specifico. La dottrina vedica (la più antica religione degli Indù) riconosce al linguaggio logico e articolato solo un quarto del linguaggio. Il suono creatore non si esprime solo nella voce degli animali, ma anche il simbolo sonoro della vibrazione della corda dell’arco rappresenta l’amalgama di vita e morte. La corda è concepita come femmina e lo scettro come maschio ed insieme rappresentano la tensione che scaturisce dal dualismo cosmico. La freccia è il figlio nato dal sacrificio vicendevole: il nuovo valore. Il cantore attraverso il suono diventava l’animale stesso. Ai versi degli animali in seguito si sono aggiunte sillabe o parole mistiche. Attraverso la reiterazione di questi suoni si ripeteva ogni anno l’atto della creazione e nuovamente si storna la morte minacciosa. Il suono primordiale, ossia la freccia che scocca dall’uovo cosmico risonante è l’ aum in cui nelle tre lettere l’intero mondo è intessuto e stessuto. Esso va pronunciato in un certo modo, pieno di slancio, robusto, solare. Questo suono rimbombante rappresenta la luce, il mezzogiorno, il grande largitore della luce e della vita. In sanscrito suono si diceva svara e luce svar. Il suono creatore è come il farsi luce che apre la strada al conoscere, come l’aurora, come quella “luce uditiva” che nasce dall’unione del principio lunare con quello solare. L’antro tenebroso dello strumento musicale è la cassa di risonanza e lo strumento è il morto che canta nelle mani dell’uomo. Lo strumento musicale separa il soggetto (Uomo) dall’oggetto ( suono) l’esecutore deve ricostruire questa unità. Allorchè si adopera uno strumento l’uomo non canta, ossia non si sacrifica più, ma è soltanto l’esecutore dell’azione rituale per cui è necessaria una forte partecipazione personale all’immolazione. La forza magica dello strumento diventa efficiente soltanto quando “l’ apparecchio” ha la voce giusta. La conca marina non è soltanto uno strumento musicale ma anche una conca per bere o un simbolo sessuale in quanto riparo delle parti sessuali, un oggetto da porre sui sepolcri ecc.. La “voce giusta” fa in modo che esso diventi ciò che noi vogliamo. Gli strumenti antichi sono simbolici, ad esempio la cetra aveva cinque corde che rappresentavano i cinque elementi dell’universo: acqua, fuoco, legno, metallo e terra. I dodici suoni sono associati ai dodici segni dello zodiaco. Questo simbolismo deriva dal bisogno di dare un ordine alla pluralità dei fenomeni per padroneggiarli ideologicamente. Questa gerarchia sviluppata dalla filosofia simbolica nel corso della storia è divenuta in molti ambienti incomprensibile, e il suo linguaggio di segni, che addita alle connessioni e alle cose comuni, diviene intellegibile solo sul piano sessuale. Questo stato di cose mostra la massima decadenza della Tradizione. Il dualismo è alla base del simbolismo in quanto l’oggetto rappresenta la relazione fra due poli. Non riconoscendo più il linguaggio simbolico si perde la penetrazione nell’essenza della concezione di contradditorietà: L’aquila era nel contempo l’animale della grazia divina e un rapace spietato. Da ogni tomba nasce un albero della vita e da ogni culla un albero della morte. La musica è legata alla magia in quanto ha la capacità di congiungere, essa porta a consuonare tutto ciò che è in grado di vibrare, o almeno lo fa oscillare e lo sollecita dal suo stato di quiete, allo stesso tempo il canto ha potere incantatorio. E’ ormai provato che ascoltando riti in certe tribù ancora esistenti, scorpioni, serpenti e uomini siano immobilizzati e resi rigidi in virtù di certe sillabe o note di flauto, fino al momento in cui li si disincanti. Questa facoltà è stata smarrita dall’uomo moderno in misura spaventosa. La teoria vibratoria del suono non può fermarsi solo all’ambito esclusivamente acustico. Il Li Ki ( testo sacro del confucianesimo) afferma che se l’uomo onora la musica, cielo e terra fanno splendere la loro luce. Cielo e terra congiungeranno felici le loro forze, Yin e Yang concorderanno e tutte le cose saranno riscaldate, protette, custodite e fatte crescere.                                                    
 di Lyra d'Orfeo