Il postmodernismo, filosoficamente nasce come reazione alla
fine di quelle “grandi narrazioni” che avrebbero caratterizzato la modernità
(marxismo, progressismo borghese, liberismo classico, cristianesimo politico,
ecc..). Ciò si caratterizza da un processo di “decostruzione”, ossia dalla messa in luce di elementi "impuri" che sono alla base delle grandi concezioni. I fautori del
postmoderno e del pensiero debole, partendo dalla convinzione dell’impossibilità
di definire l’essere, scoprono nell’”ermeneutica” lo strumento conoscitivo che
ci consente di superare la “dittatura del presente” o la “violenza della verità”.
La verità, quindi, non è più un concetto definitivo ma è ciò che io costruisco
con l’accordo dei miei simili, la verità non è assoluta ma dinamica all’interno
di vari contesti. Il pensiero debole persegue un’ indistinzione sempre più marcata tra vero e falso, è la
fine delle sintesi unitarie ed è propenso alla frammentazione del sapere. La storia
è vista come una successione di illuminazioni ma senza nessuna linea
ontologicamente garantita. Per questo soltanto l’interpretazione dei fatti può
creare l’accordo sulle verità di fatto che consentono una continuità nella
storia delle dissoluzioni, permettendoci di avere un filo conduttore per
orientarsi in qualche direzione. Il movimento postmoderno è rappresentato da
filosofi quali: Lyotard, Deridda, Foucault, Vattimo, le cui lontane origini
sono da collocarsi nel pensiero di Nietzsche. Il pensiero debole che viene
contrapposto al pensiero forte delle ideologie accetta il carattere
problematico di ogni conoscenza e l’impossibilità di spiegazioni unitarie del
mondo. La parola chiave non è più “ragione” ma “ragionevolezza”.
Bibliografia:
Corrado Ocone, Articolo su Il Riformista del 30 Agosto,2011
Ubaldo Nicola, Atlante Illustrato di Filosofia Giunti, 2005
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